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Accumulo: l’energia della birra

Dagli scarti della birra arriva un utilizzo inedito circa l'utilizzo dei rifiuti. L'accumulo elettrico

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L’economia circolare fa la birra. No non parliamo di qualche bizzarro esperimento di un ecologista appassionato di birre, ma di una ricerca che potrebbe portare a nuove batterie. Negli ultimi tempi la ricerca di nuovi materiali per l’accumulo dell’energia non è stata, solo, appannaggio degli ingegneri. A tentare di risolvere questi problemi ci si sono messi anche i biologi che stanno tentando di mettere a punto sistemi che utilizzano la biomimesi, ossia l’ispirarsi a sistemi naturali per sviluppare applicazioni industriali. Nel campo dell’accumulo energetico si stanno sperimentando, per esempio, batterie che nascono dai funghi o componenti di supercondensatori ispirati alle vitamine e che sono solo alcune delle innovazioni che identificano un nuovo modo di pensare all’accumulo dell’energia.

Questa metodologia è stata utilizzata dai ricercatori Zhiyong Jason Ren e Tyler Huggins all’Universitá del Colorado dove è stato sviluppato un nuovo processo di bioproduzione che utilizza un organismo cresciuto nelle acque reflue dei birrifici, per creare i materiali a base di carbonio necessari alle celle elettrochimiche. Si tratta di una soluzione win-win, ossia nella quale vincono tutti. Da una parte si riducono i costi di smaltimento rifiuti dei birrifici, mentre dall’altra si ottengono incubatori di biomateriali per i produttori di batterie. E il tutto si basa su una muffa.

«I birrifici utilizzano circa sette barili d’acqua per ogni barile di birra prodotto. – spiega Huggins – E non possono semplicemente scaricare i sottoprodotti così come sono nelle fogne, perchè sono necessari alcuni passaggi di filtraggio».

Il processo di conversione dei materiali biologici in strutture a base di carbonio per l’accumulo energetico è un procedimento giá in uso in diversi settori dell’industria energetica. Ma la biomassa in natura è intrinsecamente limitata sia dalla carenza delle risorse, sia dall’impatto durante l’estrazione che dalla sua composizione chimica intrinseca, rendendo il processo costoso e difficile da ottimizzare.

Per questi motivi i ricercatori hanno deciso di impiegare l’efficienza degli stessi sistemi biologici per produrre strutture chimiche sofisticate e uniche, facendo crescere nelle acque di scarto della birra, una muffa: la Neurospora crassa. «L’acqua di scarico è ideale per far crescere il nostro fungo», continua Huggins.

Coltivando la loro materia prima nelle acque reflue, i ricercatori sono stati in grado di migliorare i processi chimico-fisici delle muffe fin dai primi esperimenti, creando uno dei piú efficienti elettrodi di derivazione naturale per batterie al litio conosciuto fino a ora. I risultati sono stati pubblicati di recente sulla rivista American Chemical Society Materiali e Interfacce Applied dove gli autori spiegano: «se il processo fosse applicato su larga scala, le fabbriche di birra potrebbero potenzialmente ridurre i loro costi di smaltimento rifiuti mentre i produttori avrebbero accesso ad un mezzo conveniente per l’incubazione di componenti tecnologici avanzati per le batterie». Insomma non è proprio la Delorean di “Ritorno al futuro”, ma ci si sta avvicinando.

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