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Nucleare: Scanzano e le scorie tese

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Dopo tre undici anni la crisi delle scorie nucleari a Scanzano sembra dimenticata, ma il problema è tutt’ora irrisolto. All’epoca in piena crisi irachena, immediatamente dopo Nassyria il Governo Berlusconi tentò un colpo di mano. Ripercorriamo la cronaca di quei giorni.

Giovedì 13 novembre 2003 non è stato un giorno normale per l’Italia. L’indomani della più grave strage di soldati italiani all’estero dal dopoguerra, Nassyria, nella mattinata di quel giovedì il Paese si è svegliato attonito dalla consapevolezza che i propri soldati non erano più protetti da quell’aura di portatori di pace che sembrava fare la differenza tra noi, italiani brava gente e loro, gli americani.

Anche altre notizie tenevano banco. Il sottomarino nucleare Usa, incagliato alla Maddalena, la discussione alla Cop13 di Catania in difesa del Mediterraneo, le polemiche sulla legge finanziaria sembravano saturare i giornali, quando alla conclusione del Consiglio dei Ministri di giovedì 13 novembre le Ansa battono la notizia che la riunione di Palazzo Chigi aveva deciso la localizzazione del sito nazionale per le scorie nucleari a Scanzano. Terra di Basilicata, valle del metapontino: profondo sud.  L’argomento non era all’ordine del giorno.

Il sommergibile Usa ed il Mediterraneo affondano, nello shock collettivo di Nassyria, ma Scanzano e le “sue” scorie no. Il ministro Matteoli, tornato a Catania per la sessione di chiusura di Cop13 dribbla il manipolo di giornalisti ambientali presenti al summit e, con l’intero governo, si trincea dietro al silenzio. Nessuna decisione viene commentata dalla maggioranza, mentre altre trincee, anzi barricate si preparano sui fronti dell’opposizione parlamentare e in Basilicata, dove, immediata, scatta la protesta.

Sono due settimane di caos prevedibile, anzi annunciato. Alcuni mesi prima, infatti, dei semplici rumors sulla possibilità che il deposito nazionale delle scorie radioattive potesse finire in Sardegna aveva  di fatto messo in subbuglio tutta l’isola, con proteste e manifestazioni sia da parte delle istituzioni locali, sia della popolazione. Naturalmente di quella che era stata solo un’ipotesi non si era fatto nulla.

Il 13 pomeriggio la prima reazione, oltre a quella scontata degli ambientalisti è di un’esponente di Alleanza Nazionale, il sindaco di Scanzano Mario Alteri, che afferma “Non ci faremo mettere i piedi in testa”. Immediata la reazione delle opposizioni locali “Il sindaco non poteva non sapere”, il Governatore della Basilicata, Filippo Bubbico, centrosinistra, getta benzina sul fuoco e chiede a gran voce, scrivendo al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, “ La revoca del decreto o la sospensione di ogni esito operativo”.La notizia nel frattempo si è diffusa tra la popolazione e nella notte viene bloccata la statale jonica. È la prima protesta di piazza di una lunga serie.

Il 14 monta la protesta. Il primo conflitto è tra Alleanza Nazionale e Forza Italia a livello locale. I dirigenti e gli eletti di quest’ultima si autosospendono dagli incarichi e accusano il sindaco “non poteva non sapere”. Alteri replica “Non è vero, inizierò uno sciopero della fame e il 18 andrò dal Presidente del consiglio” e parte per Roma. Nel frattempo i pozzi della miniera di salgemma, dove dovrebbe sorgere il deposito, vengono presidiati dai cittadini. Da Roma Altieri dichiara “sono stato preso in giro dal generale Carlo Jean (responsabile della Sogin l’azienda che in Italia ha in carico le operazioni relative al nucleare). Pensavo di incontrare il responsabile del centro Enea della Trisaia (uno dei siti storici della ricerca nucleare in Italia che sorge a pochi chilometri da Scanzano), per sostenere le posizioni dei lavoratori del mio paese, impiegati nel centro”.

Il 15 la protesta varca i confini di Scanzano. I bambini del paese scendono in piazza, è il primo corteo. Gli esercenti chiudono tutti i negozi, manifestano anche gli studenti di Poliporo e prende posizione la chiesa. Don Filippo Lombardi, parroco di Scanzano, chiede al governo di tornare sui suoi passi ed afferma “è una decisione che contraddice le speranze di sviluppo di questo popolo”.

I canali nazionali della televisione iniziano ad occuparsi della notizia. Nei servizi dei telegiornali vengono diffuse notizie su disdette da parte di operatori turistici e mancate vendite dei prodotti agricoli della zona per paura di possibili contaminazioni.

Nel frattempo in tutto il Paese è un fiorire di dichiarazioni. Molti gli esponenti che cavalcano la tigre della protesta sia della maggioranza, sia dell’opposizione. Per Ermete Realacci, deputato della Margherita e fondatore di Legambiente “È inaccettabile che il governo prenda decisioni che condizioneranno un’area importante del territorio italiano per secoli in questo modo, con un blitz improvviso”. L’onorevole Gianfranco Blasi, Forza Italia relatore della finanziaria, interviene alla Camera “È necessario un fermo e chiaro no alla decisione del governo. Sono fermamente e irremovibilmente contrario alla scelta di Scanzano”. Pecoraio Scanio, segretario dei Verdi “ Altro che federalismo questo è centralismo nucleare”. Guido Tampieri, assessore all’ambiente della Regione Emilia Romagna “Spero che la Basilicata si ribelli”. Il senatore a vita Emilio Colombo “È inopportuna la scelta di un sito proprio in Basilicata e in particolare nel metapontino dove da anni si investe in sul turismo e l’agricoltura di qualità”.

Pareri opposti arrivano dall’altro capo d’Italia. Dal nord. La Lega nord plaude alla decisione di Scanzano e da Caorso, il sito dell’ormai disattivata centrale nucleare, arrivano approvazioni. “Il governo ha compito un atto di grande coraggio con l’approvazione del provvedimento – afferma Massimo Poliedri, responsabile energia della Lega nord, piacentino – Questo provvedimento è stato fortemente voluto dalla Lega Nord. Rappresenta un atto di civiltà a tutela della nostra salute e quella dei nostri figli”. Così mentre al sud si bloccano intere regioni al nord si brinda.

Il 16 è il giorno della prima grande manifestazione. De cortei di oltre 10.000 persone bloccano la statale jonica per 25 chilometri, sotto i riflettori di tutti i media. Nel frattempo si iniziano a conoscere i dettagli del deposito. È la volta di Carlo Jean, presidente della Sogin che illustra così il progetto. “La scelta di questa area della Basilicata è giunta al termine di una lunga serie di studi, cominciati fin dal 1962, alla ricerca dei siti adatti. Sono state considerate tutte le ipotesi possibili, anche quella formulata dall’Enea, che però era buona solo per le scorie di seconda categoria, ma non per quelle di terza. All’individuazione del sito ha partecipato, con ulteriori studi, anche l’istituto geologico italiano. Dopo aver fatto tutte le verifiche tecniche e geologiche possibili, è emerso che l’unica possibilità era quella, appunto della Basilicata“. Dal punto di vista geologico, il generale rileva che in quell’area “si è riscontrata l’esistenza, fra le altre cose, di uno strato di 600 metri di argilla, dopo il quale ci sono 250-300 metri di sale, poi ancora 250 metri di argilla e poi ancora un ulteriore spessore di sale, non ancora completamente esplorato. Si tratta di un caso unico nel suo genere, con caratteristiche praticamente identiche a quelle di un sito di scorie nucleari che dal 1999 è in costruzione negli Usa (nella località di Yucca Mountain nello stato del New Mexico).

Bisogna dare una soluzione a questo problema, – prosegue Jean – senza scaricarlo sulle giovani generazioni. L’urgenza dello smaltimento corretto delle scorie nucleari è dato dall’aumento dei punti di criticità ormai raggiunti da quegli organismi che attualmente le scorie le producono”.

Le dichiarazioni di Jean sono benzina sul fuoco. Scanzano scopre in questa maniera di essere stato oggetto di studi “clandestini” per mesi. Da più parti a giustificazione del sito vengono addotte ragioni di sicurezza nazionale dovute al terrorismo.

La dichiarazione di Altero Matteoli, Ministro dell’ambiente del Governo Berlusconi fa chiarezza sulla posizione del governo. “Sono soddisfatto che questo governo abbia portato a compimento un progetto che si attendeva da 25 anni – afferma Matteoli. “Sono due anni che ci stiamo lavorando e ora finalmente lo abbiamo individuato. Abbiamo seguito tutte le procedure possibili e immaginabili. L’unica che non abbiamo seguito è quella di annunciare ai quattro venti due anni prima dove volevamo farlo, giusto per renderlo impossibile. Abbiamo seguito tutte le procedure, ora ci sono adempimenti da fare, come la valutazione d’impatto ambientale. Insomma, la decisione non è stata dettata da problemi di sicurezza legati al pericolo terrorismo, anche perché, evidentemente, per costruire quel sito ci vogliono anni. Nessuna accelerazione dettata da problemi di sicurezza o legati al pericolo terrorismo”.

Nel frattempo vengono resi noti i dettagli della costruzione del deposito e sulla sua ispirazione all’unico deposito simile al mondo: quello di Yucca Mountain negli Usa. Le polemiche tra gli esperti sono accese. Da più parte si punta il dito verso l’insufficienza degli studi geologici, che negli Usa sono durati circa 25 anni e sul fatto che il deposito è comunque un progetto pilota di carattere sperimentale. Si fanno confronti anche con le altre nazioni europee, alcune delle quali come Francia, Germania e Gran Bretagna molto più coinvolte in attività nucleari, la quali non hanno ancora deciso quale strategia adottare per le scorie nucleari prodotte dai loro impianti.

In questo quadro l’Italia è la prima ad assumere una decisione  del genere e ciò non facilita la discussione.

Il 17 il sindaco di Scanzano, Altieri, requisisce i pozzi della miniera di salgemma e vieta con un’ordinanza il transito su tutto il territorio comunale di qualsiasi tipo di rifiuto nucleare. Nel frattempo è un fiorire di proteste e manifestazioni in tutta la regione. La stazione di Metaponto viene occupata, tutto il tratto lucano della statale Jonica è bloccato per tutta la giornata e i manifestanti presidiano l’impianto Enea della Trisaia a Rotondella dove nell’impianto Itrec, fino al 1991, si sono riprocessati elementi di combustibile nucleare relativi al ciclo uranio-torio e dove in una piscina sono conservate 64 barre di combustibile irraggiato provenienti dal reattore Usa di Elk River, mai trattati. Nello stesso giorno si viene a sapere che la classificazione del rischio sismico di Scanzano è errate. Alcuni giorni prima della crisi, infatti, la Regione Basilicata ha elevato il grado di rischio sismico dal quarto al terzo grado di sismicità, applicando un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile. In base a questo decreto tutta la Basilicata entra, avari livelli, nella mappa delle zone a rischio sismico.

Il 18 fallisce il vertice di chiarimento a Palazzo Chigi, non si trova un accordo tra Consiglio dei Ministri ed enti locali. Dopo il mancato accordo la protesta si estende alla Calabria e alla Puglia. La situazione dei blocchi stradali e ferroviari che si espandono a tutto il sud si fa sempre più pesante. Il mondo del lavoro si mobilita. Oltre 10.000 lavoratori scendono in piazza a Scanzano con i tre sindacati. “Si intravedono nella vicenda aspetti poco limpidi – afferma Bubbico, Governatore della Regione Basilicata – sia le modalità di scelta del sito, sia le dinamiche che dovrebbero portare alla realizzazione sono oscure”.

Il 19 con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il decreto entra in vigore e si dà il via libera alla costruzione del deposito che viene definito “opera di difesa militare di proprietà dello stato”. La realizzazione è affidato alla Sogin che ha come termine ultimo per il completamento il 31 12 2008.

Contemporaneamente il Consiglio Regionale della Basilicata ricorre alla Corte Costituzionale contro il decreto e stabilisce che tutta la regione è “area denuclearizzata. Continuano le polemiche sul confronto con il deposito di Yucca Mountain. Da più parti sono accusati sia il governo, sia la Sogin di superficialità nei rilievi preliminari per l’identificazione del sito. La Sogin replica che buona parte delle metodiche d’indagine sono state acquisite proprio dall’esperienza statunitense e che in questa maniera si sono ridotti i tempi. Il decreto afferma che in attesa del completamento del deposito le scorie presenti in tutto il territorio nazionale vadano stoccate in maniera provvisoria nel sito stesso. Ammesso che cinque anni siano un termine realistico per la costruzione del deposito appare chiaro che le scorie dovrebbero iniziare ad arrivare a Scanzano prima del 31 dicembre 2008.

Nel frattempo anche il Cnr esprime perplessità sulla scelta del sito di Scanzano. L’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, IRPI, del Cnr, infatti, studia tutta la zona del metapontino fin dal 1959. “Sono numerosi i fattori che portano ad affermare che quello di Scanzano non è un sito adeguato”, spiega Maurizio Polemio, il ricercatore dell’Irpi che sta conducendo lo studio sulla zona finalizzato alla tutela delle acque sotterranee dall’intrusione marina. “Conosciamo alla perfezione le caratteristiche di quel sito eppure nessuno, né dalla Sogin né dal Ministero ha mai pensato di contattare i ricercatori dell’Istituto”.

Le aziende proprietarie dei villaggi turistici del metapontino, che formano il più grande comparto turistico alberghiero del su Italia, con un investimento negli ultimi anni di oltre 500 milioni di euro parlano di “decisione del governo incomprensibile”.

Il 20 il governo mostra i primi segni di cedimento. La prima mina da disinnescare è quella del deposito provvisorio delle scorie. L’intenzione, più o meno celata dell’esecutivo è quella di prendere tempo per salvare la decisione del sito definitivo. Il decreto prevede, infatti, un anno di studi per verificare se la miniera di salgemma individuata in via preliminare dagli esperti della Sogin, sia il luogo ideale dove seppellire gli 80 mila metri cubi di scorie previsti. Sempre secondo la Sogin ”le probabilità che queste indagini diano un risultato negativo sono circa una su un miliardo”. Per la società del generale Jean, la decisione di non realizzare il deposito provvisorio “non pone alcun problema. Noi andiamo avanti secondo le direttive che ci darà il governo. A questo punto non siamo più davanti a un problema di carattere tecnico, ma politico”.

“È un emandamento insoddisfacente ed elusivo – afferma Bubbico – “Questo emendamento rappresenta soltanto una clamorosa ammissione dell’approssimazione e della sconsideratezza del provvedimento, ma non modifica la logica irresponsabile della metodologia adottata, non annulla la localizzazione a Scanzano del cimitero nucleare e non cancella il gravissimo attentato agli interessi vitali della Basilicata e alla sicurezza dell’Italia”.

Un colpo al cerchio ed uno alla botte lo da il sindaco di Scanzano Alteri. “È un primo risultato ma non molleremo i presidi e l’agitazione sociale finchè non ci sarà un atto ufficiale del governo –afferma Altieri commentando la possibilità di modifica del decreto – ma confido che avverrà presto, perchè arrivano segnali confortanti. Noi lucani siamo gente tenace e caparbia e continueremo la protesta anche se comporta per noi stessi molti disagi. Ma ripeto, confido che il governo non ci farà ancora soffrire per molto”.

Nel frattempo dai vescovi arriva un sostegno alla protesta e si svolge l’ennesimo corteo di oltre 10.000 persone da Pisticci al sito del deposito.

Il 21 i parlamentari lucani di Forza Italia chiedono un emandamento preciso al decreto in merito alla possibilità di non realizzare il deposito provvisorio a Scanzano. Mentre un’altra parziale bocciatura del sito viene dalla Società italiana di geologia ambientale che afferma che in linea teorica in Italia esisterebbe oltre 100 siti idonei. “Il sito sembrava adatto -ha detto Mario Tozzi, primo ricercatore del CNR e conduttore televisivo – in quanto argilla e sale rappresentano un ottimo presupposto, ma alla luce di recenti analisi che dimostrano spaccature, faglie attive in tempi recenti, ci vogliono altri 10 anni di studio sul posto che invece non sono stati fatti. Per fare un paragone, il sito in New Mexico, simile come struttura geologica, e’ stato oggetto di studi sul posto per 20 anni”.

Nel frattempo il clima a Scanzano si fa incandescente. Il settimanale Panorama rivela che il sindaco Aleri avrebbe rassicurato il Presidente del Consiglio circa la localizzazione del deposito a Scanzano. Il consiglio comunale si riunisce in una seduta straordinaria per chiedere conto al sindaco delle affermazioni del settimanale. Alla fine il consiglio conferma la fiducia al sindaco ma crescono le contestazioni della popolazione al primo cittadino della cittadina ionica. L’affare scorie rischia di degenerare in un problema di ordine pubblico.

“Sulla questione delle scorie radioattive a Scanzano Jonico ora si apre una fase di dibattito e tutto è in discussione. – ha  il ministro delle Politiche Agricole Gianni Alemanno  – Nulla sarebbe peggio di non dare una soluzione al problema. Il governo ha dato un segno di decisione che dimostra l’attenzione verso la protesta. La decisione del Governo di ieri ha dimostrato che c’ e’ stata sensibilità e attenzione alle proteste e alle preoccupazioni, dei produttori agricoli e della popolazione”.

Il 22 il sindaco Alteri viene duramente contestato dalla popolazione all’interno del comune e deve muoversi per il paese con una scorta. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi rincara la dose ed afferma, gettando nuove ombre che il sindaco di Scanzano era consapevole della decisione del governo e la approvava. Alteri replica al ministro affermando che “c’è chi cerca l’incidente”.

Il 23 è il giorno della più grande manifestazione di protesta che la Basilicata abbia mai visto. In oltre centomila sfilano da Policoro a Scanzano, un lucano su sei scende in piazza contro il deposito. Il sindaco Alteri viene accolto alla manifestazione con un gelido silenzio, scortato da oltre 40 agenti di polizia partecipa al corteo ma i sindacati gli impediscono di parlare al comizio conclusivo nel timore che scoppino incidenti. Nel frattempo la psicosi da deposito dilaga in tutta Italia. L’elenco dei siti scartati rimbalza da una parte all’altra del bel paese e le agenzie iniziano a parlare di possibili alternative.

Il 24 le crepe sul fronte governativo si fanno più evidenti. “Scanzano non é stato affatto scelto. – afferma il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi – Nel decreto del governo c’è solo scritto che, in base alla graduatoria dei siti possibili indicati dagli studiosi, al primo posto è risultato Scanzano, la commissione dovrà compiere verifiche approfondite con l’ausilio di altri scienziati”.

Le proteste sbarcano a Roma ed un corteo composto dai lucani provenienti dalla Basilicata e quelli residenti nella capitale, attraversa la città eterna. Nella stessa giornata la capitale è scossa dalla notizia che si starebbe prendendo in considerazione la possibilità di costruire il deposito nei pressi di Roma all’interno dell’area del centro ricerche dell’Enea della Casaccia. La presa di posizione contro quest’ipotesi, del sindaco di Roma Valter Veltroni e del governatore della regione Lazio, Francesco Storace è netta. L’Enea interviene sciogliendo ogni dubbio e affermando che all’interno della Casaccia si trova, da anni, un deposito provvisorio inutilizzato, costruito alla fine degli anni ‘70 che servirebbe per ospitare i rifiuti nucleari già presenti nel centro in un deposito considerato non più idoneo. Nel frattempo non c’è telegiornale che non vada a caccia di scorie radioattive in ognuno dei 150 siti di deposito provvisorio sparsi per lo stivale.

Il 25 la commissione ambiente comincia l’esame del decreto. Il premio nobel Carlo Rubbia esprime forti perplessità sul decreto. Mentre la Basilicata è isolata da oltre dieci blocchi stradali e ferroviari, da Roma giunge la notizia che l’emandamento del governo sul decreto dovrebbe contenere una rosa di venti siti possibili oltre Scanzano, ma che il comune lucano resta in pole position. In coda all’emandamento si legge che la lista dei possibili siti sarà sottoposta all’esame della Conferenza Stato Regioni. È il primo atto di apertura ufficiale del governo verso gli enti locali. Un passo giusto ma che giunge tardi e viene adottato sotto alla pressione di un’opinione pubblica che non ha alcuna fiducia nell’operato del governo dopo due settimane vissute in balia di un’informazione incompleta ed ondivaga.

Il 26 le crepe sul fronte governativo diventano voragini. “Qualche cosa non ha funzionato dal punto di vista dell’ informazione e di questo mi assumo la responsabilità.” Ha affermato il Ministro dell’ambiente, Altero Matteoli, per spiegare la forte reazione di protesta alla decisione di costruire a Scanzano un deposito per le scorie nucleari. “La reazione è stata più forte di quanto avevamo preventivato”.

I presidenti delle regioni chiedono al governo di ritirare il decreto e di ricominciare l’iter per la localizzazione del deposito sulla base di un percorso istituzionale concordato. La sensazione di alcuni governatori di regioni, come Vasco Errani dell’Emilia Romagna, è che la proposta dei venti possibili siti, uno per regione sia in realtà un tentativo di scaricare la patata bollente sui governi locali “rendendo di fatto la situazione ingestibile”.

Il Ministro per gli Affari regionali, Enrico La Loggia, recepisce le istanze provenienti dagli enti locali e afferma che le richieste delle regioni sarebbero state tenute in debito conto nel Consiglio dei Ministri del giorno successivo.

L’impressione è che il governo abbia innestato la marcia indietro e sia pronto a rimettere tutto in discussione.

Il 27 è la giornata decisiva. Il Consiglio dei Ministri, come si prevedeva dal giorno prima, approva l’emandamento al decreto sulle scorie nucleari togliendo il nome di Scanzano. Il nuovo testo prevede che un nuovo sito unico nazionale venga identificato entro 18 mesi.

Nella cittadina lucana sia opposizione, sia maggioranza esultano per la decisione.

“Il Consiglio dei ministri ha deciso all’ unanimità l’ istituzione di un sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie radioattive, ma non appena se ne indica uno c’ e’ la rivolta popolare. – ha affermato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi – Così resta aperto il problema anche se ieri l’esecutivo ha approvato la costituzione di una Commissione ad hoc, composta da 14 superesperti, che, entro i prossimi 12 mesi, dovrà vagliare la destinazione più giusta sulla base dei siti già selezionati dalla Sogin in quanto rispondenti ai requisiti di sicurezza e di impatto ambientale richiesti. Nella rosa c’ è e resterà, per il momento anche il nome di Scanzano Jonico”

Con questa decisione i riflettori si spengono sulla vicenda delle scorie radioattive. Passa quasi sotto silenzio la pubblicazione del nuovo decreto sulla Gazzetta Ufficiale il 4 dicembre 2003, nel quale a smentita dell’affermazione di Giovanardi non c’è più traccia di Scanzano Jonico e ancora meno notizia fa l’approvazione del decreto al Senato il 17 dicembre.

Ai 14 superesperti se ne aggiungono cinque nominati dalle regioni mentre il sito nazionale riguarderà solo i rifiuti più pericolosi, quelli di terza categoria mentre quelli di prima e seconda saranno trattati nei siti locali dove si trovano oggi. Se la commissione speciale non dovesse identificare il sito entro 12 mesi la scelta diventerebbe di pertinenza del Presidente del Consiglio.

In coda alla vicenda sono interessanti le dichiarazioni di Carlo Jean, presidente della Sogin durante un convegno sulle scorie radioattive che si è svolto, organizzato da Green Peace a Roma.

“La scelta del sito di Scanzano non è stata casuale o poco meditata – ha affermato Carlo Jean – siamo partiti con una selezione di 15 siti all’interno di un centinaio, successivamente siamo scesi a cinque. Tre in Sicilia, uno in Calabria ed uno in Basilicata a Scanzano. I primi quattro si sono rivelati siti adatti dal punto di vista della struttura geologica ma soggetti ad attività sismica e per questa ragione sono stati scartati. L’unico era Scanzano, per questo al termine di un’attività di studio che è stata condotta con molta riservatezza, per non scatenare allarme tra le popolazioni, si è deciso di rendere noto il sito contemporaneamente alla pubblicazione del decreto legge”.

Appare chiaro dallo svolgersi della vicenda che l’iniziativa del governo in tema di scelte per la localizzazione del sito è stata condotta con un’approssimazione ed un’incapacità di gestione che ha portato ad un risultato peggiorativo. Tra un anno,infatti, se la commissione non avrò deciso,cosa probabile, la palla passerà nuovamente nelle mani del Consiglio dei Ministri che non potrà fare altro che calare decisioni dall’alto e innescare nuovamente un meccanismo di rivolta come quello di Scanzano. Rendendo sempre più difficili le soluzioni non solo del problema scorie radioattive, ma  anche di tutta una serie di problematiche legate alla localizzazione degli impianti energetici di qualsiasi natura, compresi quelli eolici, ingarbugliando la matassa delle scelte energetiche sul territorio. Almeno fino al prossimo black out.

Sergio Ferraris

Che cosa pensavano all’epoca dei fatti le associazioni ambientaliste:

GreenPeace Italia, Domitilla Senni, direttore

Che soluzione per le scorie nucleari italiane?

Le scorie vanno messe in sicurezza, dopo essere state trattate e condizionate, in siti ingenieristici, possibilmente, dove esistano le condizioni di sicurezza, presso i siti di produzione.

Parliamo di un unico sito nazionale o di diversi siti?

Come Green Peace dobbiamo vedere cosa proporrà il governo, al momento non abbiamo indicazioni particolari. L’importante è che le scorie vengano messe in sicurezza e che venga abbandonata la strada dell’interramento.

Quali sono i meccanismi decisionali che andrebbero presi per la localizzazione di questi siti?

Sicuramente non quelli che sono stati presi dal governo fino ad oggi. Ci vogliono dei processi partecipativi dove i vari interessi rappresentati a livello territoriale possano esprimere i loro pareri.

Andrebbe mantenuto in Italia un presidio tecnologico sul nucleare?

Andrà salvaguardato un patrimonio di conoscenza per quanto riguarda la gestione delle scorie. Però parlare di una ripresa del nucleare in Italia, vista anche la situazione in tutto il mondo, ci sembra fuori luogo.

WWF Italia, Gaetano Benedetto, Segretario aggiunto

Che soluzione per le scorie nucleari italiane?

Vorremmo che si riprendesse il discorso la dove era stato interrotto. Ossia dagli studi compiuti dall’Enea, dalla Protezione Civile e dalla Conferenza Stato Regioni, nei quali tutti concordavano sulla necessità di depositi di superficie con un’autorità pubblica che li gestisse. Per quelle di terza categoria, le più pericolose, andrebbe trovata una soluzione temporanea in Italia e verificare la possibilità di un accordo internazionale ed individuare nell’ambito della Comunità Europea un sito idoneo.

Parliamo di un unico sito nazionale o di uno europeo?

Per quanto riguarda le scorie di prima e seconda categoria devono essere costruiti dei siti nazionali definitivi e di superficie, perché meglio ispezionabili e più efficienti. Per quelli di terza categoria ripeto la soluzione ideale per paesi come noi che hanno quantità minori di questo materiale la soluzione ideale sarebbe quella dell’accordo internazionale per creare dei depositi di profondità. Siamo però contrari all’esportazione di rifiuti radioattivi in paesi che non offrano garanzie di trasparenza nella gestione. Come l’ex Unione Sovietica.

Quali sono i meccanismi decisionali che andrebbero presi per la localizzazione di questi siti?

Non ci sono ricette precostituite. I due aspetti che bisogna tenere in conto sono da un lato un grande approfondimento scientifico dall’altro un meccanismo di decisione partecipata che sia improntato alla trasparenza degli atti e alla pubblicità di tutte le fonti. In questo senso è meglio affidarsi a enti pubblici riconosciuti come il Cnr o l’Apat che non alle commissioni tecniche decise dal Consiglio dei Ministri.

Andrebbe mantenuto in Italia un presidio tecnologico sul nucleare?

Penso che l’energia nucleare sia una tecnologia superata in tutto il mondo perché la filiera del nucleare non è gestibile in tutte le sue fasi e i costi complessivi del kWh sono superiori a quelli di altre tecnologie.

Se per presidio intendiamo una ricerca che superi le problematiche attuali e consenta la gestione al meglio delle scorie possiamo essere d’accordo. Se, invece, significa un rilancio del nucleare così come lo conosciamo oggi allora siamo assolutamente contrari.

Green Cross, Elio Pacilio, Vicepresidente

Che soluzione per le scorie nucleari italiane?

È necessario che la soluzione a questo problema venga presa ponendo in sicurezza le scorie sul territorio nazionale, utilizzando le tecnologie e le soluzioni più opportune. Siamo contrari all’esportazione di scorie anche perché una soluzione del genere potrebbe diventare un precedente pericoloso anche per altre tipologie di rifiuti come i tossici nocivi ed innescare una abitudine alla logica dell’esportazione dei danni ambientali.

Parliamo di un unico sito nazionale o di diversi siti?

A nostro giudizio deve essere costruito un unico sito nazionale che dia le garanzie necessarie sia sotto al profilo tecnico, sia sotto quello della gestione rispetto al territorio circostante. Quello che è certo è che lo studio preliminare del sito deve essere approfondito ed esaustivo. Il sito di Yucca Mountain è stato scelto dopo quasi 25 anni di ricerche e con stanziamenti di risorse ingenti. L’eredità che lasciamo alle generazioni future con i rifiuti nucleari è grande e non dobbiamo aumentare la portata di questi nostri errori con decisioni superficiali.

Quali sono i meccanismi decisionali che andrebbero presi per la localizzazione di questi siti?

Dire no a quelli utilizzati per Scanzano è fin troppo semplice. Si tratta di creare un consenso al sito che sia fatto di informazione, di fiducia e di partecipazione. È necessario spiegare alla popolazione che si tratta di risolvere un problema pratico ed immediato che però ha anche un aspetto etico al suo interno. È sicuramente un processo di lunga durata, parliamo di anni, che implica una visione che và al di la sia di quella della politica, sia di quella della gente comune

Andrebbe mantenuto in Italia un presidio tecnologico sul nucleare?

Secondo noi si. Sia per l’aspetto della gestione delle scorie e il decommissionamento delle centrali, sia per la ricerca scientifica. Non dimentichiamo che la tecnologia nucleare non è solo quella legata al mondo dell’energia ma anche ad altri settori come quelli della medicina.

C’è poi il discorso della fusione nucleare che potrebbe dare, nei prossimi 50 anni dei risultati pratici, sul fronte della produzione energetica. Così come la ricerca potrebbe portarci a trovare soluzioni insperate sul fronte delle scorie nucleari come l’abbattimento artificiale della radioattività.

Sia chiaro che il mantenimento di un presidio tecnologico non può essere un alibi per continuare su strade allo stato attuale impraticabili. Non è possibile dire: continuiamo ad utilizzare il nucleare poi vedremo se si troveranno delle soluzioni.

Parla l’esperto

Sulla questione scorie abbiamo posto le stesse domande fatte alle associazioni ambientaliste al professor Angelo Tartaglia, docente di fisica al Politecnico di Torino.

Che soluzione per le scorie nucleari italiane?

L’unica soluzione sensata è il confinamento delle scorie in formazioni geologiche profonde, nelle quali si possa ragionevolmente pensare che non penetri l’acqua e che rimarranno stabili per tempi dell’ordine di centinaia di migliaia di anni. Ci sono delle possibilità che devono essere valutate dal punto di vista tecnico senza farsi influenzare eccessivamente da ragioni d’opportunità di tipo sociale o politico.

Quali sono i meccanismi decisionali che andrebbero presi per la localizzazione di questi siti?

È necessario partire dalla rosa dei siti dei quali si è già parlato. Dopodiché si può fare una graduatoria tra i siti stessi e poi successivamente si dovrebbe fare degli studi approfonditi, su più siti per evitare di fare la scelta prima di avere in mano gli elementi per decidere, per scegliere quello che offra le migliori garanzie di stabilità nel tempo. È chiaro che tutta questa procedura deve essere trasparente e pubblica in ogni sua fase fin dall’inizio. Tentativi di colpi di mano o peggio forzature, non portano da nessuna parte.

Andrebbe mantenuto in Italia un presidio tecnologico sul nucleare?

Si può mantenere se contestualmente si risolve il problema delle scorie altrimenti la risposta è no.

Sergio Ferraris

L’articolo è stato pubblicato su Energia&Reti, edizioni Tecniche Nuove



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