www.sergioferraris.it - Sergio Ferraris - giornalista scientifico
SERGIO FERRARIS
giornalista scientifico
Spacer Spacer
Chi sono :: Contatti :: Crediti ::
Spacer
Spacer
Ambiente ::
Energia ::
Scienza ::
Tecnologia ::
Immagini ::
Diritti ::
Fotografia ::
Spacer
home ::
Spacer
invia ::
scrivimi ::
indietro ::
 
Spacer
Spacer
Spacer :: Ambiente
 
Spacer
INQUINATI DAL VOLO
AereoLa libertà di viaggiare in ogni angolo del Pianeta è salutata positivamente da tutti e il traffico aereo è in crescita. Ma cosa succede a chi abita vicino ai nuovi hub? Il problema in Europa riguarda quasi quattro milioni di persone. E la situazione potrebbe peggiorare rapidamente

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando un piccolo motore a scoppio da quindici cavalli sollevò, nel 1903, a Kitty Hawk in Carolina del Nord, il biplano dei fratelli Wright per dodici secondi. Oggi le cose sono cambiate. Il nuovo gigante dell’aria che solcherà i nostri cieli nei prossimi anni, l’Airbus 380, di cavalli ne avrà ben 238 mila e i suoi quattro motori serviranno a sollevare una massa di ben 560 tonnellate e a far volare 550 passeggeri per oltre 14mila chilometri. Le innovazioni legate all’aviazione civile da un lato possono far piacere, alzi la mano chi non ha visto con simpatia l’avvento delle compagnie low coast che rendono possibili viaggi solo alcuni anni fa impensabili, dall’altro per i cittadini che abitano nei pressi degli aeroporti sono un vero incubo.

Rumore, inquinamento e drastico abbassamento della qualità della vita, questi gli ingredienti della quotidianità delle famiglie che hanno la sfortuna di abitare nei pressi di un grande aeroporto e che non sono poche. La Commissione europea, infatti, stima che circa tre milioni e mezzo di cittadini dell’Unione siano interessati al fenomeno, numero che è destinato ad aumentare.
L’incremento annuo dei voli sia del trasporto passeggeri, sia di quello merci è costante in tutto il Mondo e le previsioni danno nei prossimi cinque anni un aumento dei voli che sarà del 3,4 % l’anno. Gli aeroporti più interessati da questo “bombardamento” in Europa sono: Heatrow a Londra con oltre mezzo milione di persone che ne subiscono gli effetti, Tegel a Berlino dove i bombardati sono oltre 300mila, Charles de Gaulle a Parigi con 216mila cittadini sotto tiro e il nostro
hub nazionale controversa Malpensa che affligge 200mila cittadini.

Frastuono in pista
Ma quali sono le cause d’inquinamento che affliggono chi abita a ridosso dei moderni aeroscali? L’imputato numero uno è il rumore. Nelle zona più esposte, infatti, si può arrivare a punte di 80 -90  dB con una durata di novanta secondi per ogni sorvolo. Vivere, quando come nel caso di Malpensa, i voli diventano migliaia l’anno, oggi sono 250mila, diventa problematico se non impossibile. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Case Nuove, frazione di Somma Lombarda, dove a una parte degli abitanti è stata offerta la possibilità di spostarsi dalla zona per l’evidente impossibilità di “risolvere” il problema. Oltre al rumore, le altre fonti di inquinamento indotto dal traffico aereo sono l’aumento delle sostanze residue dalla combustione dei motori dei jet, i famosi quanto temuti NOx e PM, le polveri sottili, che sono le stesse prodotte dal traffico automobilistico cittadino.

Lo sviluppo dei grandi aeroporti, spesso accompagnati da forti conflitti con le comunità locali limitrofe, ha creato una serie di comitati combattivi che si oppongono alle attività troppo intense dei grandi hub. Ennesima protesta delle comunità locali colpite dalla dilagante sindrome Nimby? Non si direbbe proprio se si osservano le richieste del comitato di cittadini più combattivo d’Europa: quello inglese di Heathrow. Hacan ClearSkies, questo il nome del comitato, chiede: l’incremento dell’alternanza delle rotte, informazioni chiare sulle stesse, un tetto al numero dei voli, una tassa sui passeggeri in trasferimento che utilizzano lo scalo londinese, l’adozione dei livelli di rumore raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità e l’abolizione dei voli notturni. Questi i temi generali che sono comuni alla lotta di molti altri comitati ai quali se ne aggiunge uno specifico: l’opposizione alla terza pista di Heathrow che è vista, giustamente, come un elemento che aumenta il traffico aereo a discapito della qualità di vita degli abitanti.
«Ma noi non vogliamo collocare i problemi di Heathrow altrove -  si legge nel sito di Hacan ClearSkies – e questo perché partecipiamo ad AirportWatch il network che include i gruppi di protesta di tutti gli aeroporti inglesi ed è supportato dalle organizzazioni ambientaliste». Se stavamo cercando la sindrome Nimby abbiamo sbagliato luogo.

Rumore, specialmente quello notturno, ecco qual è il principale problema e non si tratta di una novità. «Che il rumore degli aerei influenzi negativamente la salute e il benessere di chi vive nei pressi di un aeroporto è fuori di dubbio. – si legge in un rapporto del 1997 su Heathrow redatto Walter Holland, professore di Salute pubblica della London School of Economics di Londra – Il frastuono degli aviogetti interferisce con la comunicazione, riduce le performance scolastiche e comporta disturbi nel sonno». E questi ultimi sono responsabili di deficit cognitivi e disturbi nell’apprendimento, specialmente nei bambini che vivono nei pressi delle rotte di volo. Una recente ricerca dell’Istituto nazionale per la salute pubblica e l’ambiente olandese ha riportato che il 2,5% degli scolari che vivono nei pressi dell’aeroporto di Amsterdam, Schiphol, ha risultati inferiori nei test di apprendimento a causa dell’esposizione al rumore degli aviogetti e il dato è stato confermato anche da uno studio della Comunità europea: il Ranch. Sarà anche per questi motivi che le scuole nei dintorni di Malpensa sono state insonorizzate.
«Nel raggio di dieci chilometri attorno all’aeroporto di Heathrow – si legge sempre nella ricerca di Holland – sono aumentate del 14% le prescrizioni di ansiolitici e antiasmatici, specialmente tra la popolazione compresa tra gli 0 e i 19 anni e gli over 60». Guarda caso le categorie di persone che passano più tempo all’interno delle abitazioni nei pressi dell’aeroporto.
Stesso approccio per una ricerca italiana che ha come oggetto di studio quella che sembra essere una categoria a rischio: le casalinghe di Malpensa. La ricerca, condotta nel 2000 dall’Osservatorio epidemiologico della Asl della Provincia di Varese su un campione di 1.703 donne di età compresa tra i 18 e i 64 anni ha dato risultati incontrovertibili. Il 56% delle intervistate della zona A, quella di massima esposizione ha dichiarato di soffrire di sonno insoddisfatto, contro il 38,5% di quelle della zona C, non esposte al rumore.  «I dati che evidenziano le differenze tra la zona A e quella C sono estremamente  significativi. – afferma Salvatore Pisani, uno degli autori della ricerca, responsabile del servizio di epidemiologia dell’Asl di Varese – Alcune delle cose osservate sono più dei sintomi che delle vere e proprie malattie. Ma la vera sorpresa è venuta dal dato sul sonno. Ci aspettavamo un valore elevato, ma non così alto». Per ciò che riguarda i risvegli notturni la differenza tra le esposte e quelle no è del 21,5%, per il mal di testa 14,7% e per l’inappetenza l’8,6. A conferma di ciò c’è l’aumento delle prescrizioni di farmaci.  Il consumo degli ansiolitici cresce, tra la zona A e quella C del 10,4% e quello degli ipnotici del 7,9%.

Incubi notturni
E se il rumore di giorno è fastidioso di notte diventa intollerabile. In tutta Europa, infatti, milioni di cittadini che vivono nei pressi degli aeroporti chiedono il divieto dei voli notturni.
Il motivo è chiaro. Dopo un’intera giornata passata sotto le rotte dei jet il sonno diventa un fattore critico ed è sufficiente un solo passaggio di notte per rovinare il riposo.
«Da noi non esiste una limitazione effettiva dei voli notturni, come accade all’estero. – afferma Beppe Balzarini, presidente di Unicomal, l’Unione comitati lombardi del comprensorio Malpensa per la tutela dell’ambiente e della salute  – Qualche settimana fa a causa di una nevicata una serie di voli in partenza da Malpensa sono stati cancellati e la direzione dell’aeroporto ha dichiarato che questo annullamento era dovuto al fatto che i voli in ritardo sarebbero giunti a destinazione negli orari protetti e per ciò sono stati annullati. Malpensa, al contrario, accetta voli in arrivo a qualsiasi ora». Sulla questione, che è considerata centrale dai comitati è in atto un braccio di ferro. Da un lato ci sono gli abitanti, dall’altro le compagnie e in mezzo l’Unione europea. I voli notturni rappresentano il 5% del totale in Europa ma si tratta di un mercato che le compagnie non desiderano abbandonare. L’attrattiva di questi voli è, secondo le compagnie, rappresentata dal fatto che per la clientela d’affari si tratta di voli comodi che permettono di sfruttare al meglio la giornata, oppure di voli charter che vengono programmati di notte per sfruttare al meglio la flotta nell’arco delle ventiquattro ore. Prova di ciò, secondo, Hacan ClearSkies, risiede nel fatto che la maggior parte dei voli notturni si concentra in due fasce orarie: quella tra le 23 e le 01 e quella tra le 05 e le 07. A dar manforte alle compagnie è arrivata recentemente l’Unione europea che con uno studio ha assegnato ai voli notturni la responsabilità di ben 360mila posti di lavoro. Siamo alle solite: o tutela della salute o sviluppo economico. Ma i tempi sono cambiati e da Heathrow i cittadini fanno le pulci al rapporto. «Solo un terzo di questi posti di lavoro sono responsabilità diretta dei voli notturni, – afferma una nota di Hacan – mentre i restanti sono indiretti o addirittura indotti e questo è un approccio sbagliato rifiutato perfino da molti economisti». Sembra chiaro il fatto che la commissione trasporti della Ue, in questo caso volesse avere una cifra “importante” in mano da contrapporre i 3,6 milioni di persone afflitte dal rumore degli aviogetti. Non soddisfatti i combattivi cittadini inglesi arrivano anche a proporre soluzioni. Sempre nella stessa nota si legge: «La diminuzione dei posti di lavoro indotti dai voli notturni potrebbe essere compensata da altre attività legate al pernottamento dei viaggiatori nei pressi degli aeroporti in attesa dei voli come hotel, guesthouse, ristoranti e bar».
E non serve a mitigare il disturbo da rumore il fatto che gli aviogetti più recenti siano meno rumorosi. L’Airbus A320, infatti, ha un’impronta acustica, ovvero la proiezione al suolo della scia di rumore generata, meno ampia di quella del più anziano Boeing B727 e per questo motivo a parità di traffico e rotte il territorio, e quindi la popolazione, interessati sono minori. Ma secondo Hacan ClearSkies, che riconosce la minor rumorosità degli apparecchi più recenti, questo vantaggio viene vanificato dall’incremento annuo del traffico aereo che non accenna a diminuire.

Vittime nella rete
I comitati contro il rumore degli aeroporti sono connessi tra di loro. Per superare l’isolamento, mettere assieme una piattaforma comune e aggregare i dati sull’inquinamento da rumore dei singoli aeroporti diverse Ngo europee hanno creato un network di rilevamento che utilizza il web. Gli aeroporti di Olanda, Germania e Svizzera sono monitorati con una rete di fonometri che pubblicano sulla rete i dati, sotto forma di grafici i quali possono essere commentati dai cittadini che sono stati disturbati da un singolo passaggio. In questa maniera si riesce a ottenere un risultato importante: incrociare i dati di intensità del disturbo, espressi in dB con la soggettività della percezione.
Comunque l’Unione europea sta approfondendo il fenomeno. È in dirittura d’arrivo, infatti, il progetto Hyena che si ripropone di investigare gli effetti del rumore sulla salute con un campione di 6mila cittadini che vivono a ridosso di sei grandi aeroporti europei tra i quali Tegel a Berlino, Schiphol ad Amsterdam, Heathrow a Londra e Malpensa a Milano.
«Lo studio vuol determinare la relazione tra rumore alterazione della pressione arteriosa. – afferma Ennio Cadum, coordinatore italiano del progetto Hyena - L’ipotesi di studio è quella che vede l’esposizione prolungata al rumore come causa degli stati di stress con un conseguente aumento della pressione. Si tratta di una possibilità suggerita da più autori. Lo scopo del progetto è quello di verificare questa ipotesi che se fosse confermata potrebbe sfociare in una nuova direttiva sull’argomento».
Solo grandi aeroporti? No. Il fenomeno sta cominciando a interessare, a macchia di leopardo, anche i piccoli aeroporti regionali che subiscono un incremento di traffico esponenziale dovuto allo sviluppo delle compagnie low coast. Esemplare il caso di Ciampino, ex aeroporto principale della Capitale che relegato a un ruolo secondario dopo l’apertura dello scalo internazionale di Fiumicino sta vivendo una nuova fase di “sviluppo” grazie ai voli low coast. Negli ultimi cinque anni i passeggeri del piccolo scalo capitolino sono passati da 700mila a 4 milioni, i voli da 18mila a 64mila, e la società che lo gestisce, Aeroporti di Roma pensa di portarne la capacità a otto milioni nei prossimi anni. Tutto ciò ha allarmato i cittadini di Ciampino, molti dei quali vivono a poche centinaia di metri dalle piste, che oltre all’ovvia riduzione del traffico notturno chiedono anche il ritorno al numero dei voli precedente al boom delle low coast, con una distribuzione dei voli su altri scali nei dintorni della Capitale. Sul ruolo delle compagnie a basso costo nei piccoli aeroporti europei, però, il dibattito è acceso. Non sono pochi, infatti, gli enti locali che possiedono questi piccoli scali, resi appetibili dalle ridotte tasse aeroportuali, che spingono per avere più traffico per valorizzare le attività indotte dalle attività aeroportuali. Ma i cittadini su questo piano hanno trovato un inaspettato alleato: la normativa europee sulla concorrenza. Il tribunale di Strasburgo ha annullato, infatti, le sovvenzioni concesse dalla locale camera di commercio alla Ryanair, perchè costituivano una violazione delle norme sulla concorrenza e anche il ricorso alla Corte europea dei diritti umani, presentato e vinto dai combattivi cittadini di Heathrow, offre un grimaldello in più ai “bombardati” dal traffico aereo. Anche la Commissione europea, viste le contraddizioni, nei prossimi anni avrà sonni agitati.

Sergio Ferraris

Stop ai fracassoni
Come per le autovetture anche gli aerei hanno le loro classi che però li dividono in base alla rumorosità e non secondo l’inquinamento. Un accordo internazionale, infatti, li classifica in “Capitoli Icao”.
Il Capitolo1 raggruppa tutti i turbogetto degli anni ’50 e ’60, come il Caravelle e il B707, estremamente rumorosi, ritirati a partire del 1990 e proibiti dalla stessa data in tutta Europa.
Il Capitolo2 contiene gli aeromobili con propulsione turbofan come il B727 e il B737, meno rumorosi dei precedenti e messi al bando nella Ue dal 2002 con eccezione per i Paesi in via di sviluppo.
Il Capitolo3 classifica gli aerei più recenti, come l’A320 che utilizzano sistemi di insonorizzazione e di materiale fonoassorbente per limitare le emissioni acustiche.
Il Capitolo4, che entrerà in vigore per gli aerei prodotti dal 2006, accoglie quelli in grado di rispettare i limiti Icao più restrittivi, come i B777.
Il rispetto dei vari capitoli impone un turn over costoso per le compagnie e per ovviare a ciò, specialmente per le piccole compagnie che potrebbero fallire, l’industria aeronautica ha prodotto un silenziatore, l’Hush-kit, in grado di portare la rumorosità ai livelli del Capitolo3, in questa maniera si diminuisce la pressione acustica ma non il carico inquinante disperso in atmosfera.

Il volo inquinato
L’inquinamento principale degli aviogetti è quello acustico, che affligge 3,6 milioni di cittadini europei ma non è il solo. Gli aerei producono NOx e PM sia durante le fasi di decollo e atterraggio, sia durante il volo, ma per ciò che riguarda la loro presenza nelle zone attorno agli aeroscali gli aerei non sono, a sorpresa, i primi responsabili. Attorno a Schiphol in Olanda pesano per il 10% e per il 20% al Charles de Gaulle in Francia. Le emissioni espulse durante il volo, però, vengono trasformate in inquinati secondari e possono viaggiare a grandi distanze. Il più alto tasso d’inquinamento dell’aria intorno agli aeroporti è dovuto all’aumento del traffico automobilistico indotto dalle attività aeroportuali. La somma dell’inquinamento dovuto ai velivoli e alle auto raggiunge spesso i valori che si trovano nelle grandi città. Completamente ignorato, invece, l’aspetto dei cambiamenti climatici. Nonostante il settore sia responsabile di 600 milioni di tonnellate l’anno di CO2, dato del 1999, e sia stato responsabile del 3,5% delle emissioni nel 1990, anno di riferimento per Kyoto, l’aviazione è esclusa dal protocollo sui cambiamenti climatici. Nel 2050 questa percentuale potrebbe salire al 15% ma allora i paradisi tropicali da raggiungere su enormi jet con viaggi a basso costo potrebbero essere sommersi. Proprio grazie all’effetto serra.

Viverci sotto

Cosa significa vivere sotto i “bombardamenti” dell’aviazione civile? Lo abbiamo chiesto a Mario Lolla, 45 anni, che abita a Sesto Calende dal 1993, sotto a una delle principali rotte di atterraggio di Malpensa.

Come è cambiata la sua vita?
«Prima di Malpensa 2000 si sentivano solo i charter nel mese di agosto, e sopra la mia abitazione c’era tra i due e sei passaggi al giorno.  Oggi le cose sono cambiate. Sulla mia testa passano circa quindici aerei l’ora, a un’altezza di circa mille metri, forse meno, con punte di venti la mattina, a mezzogiorno e la sera. I voli notturni ci sono, non sono costanti ma ci sono. Viviamo così dal 1998 con una punta nel 2000. La crisi del 2001 fece migliorare la situazione ma ora si è ritornati sui livelli dei primi anni. Questa zona era molto tranquilla in precedenza. Ho misurato il rumore con uno strumento portatile e il risultato è che quando non passano gli aerei il rumore di fondo è a 30 dB (il valore normale di  notte in città è 40 dB, N.d.r.). Al passaggio di uno di questi bestioni lo strumento schizza a 80-90 dB e il fracasso dura per circa a un minuto. In casa d’inverno, di giorno, con i doppi vetri e le finestre chiuse la situazione è al limite dell’accettabilità ma d’estate gli 80 dB entrano tutti. Per non parlare di quando arrivano gli Md 80 che sono i più rumorosi di tutti. Qualche miglioramento c’è con gli aerei più recenti come gli Airbus. Personalmente non mi oppongo al progresso, però una diminuzione della frequenza e dei voli notturni è necessaria. Oggi per poter lavorare in casa al computer e avere la concentrazione necessaria ho dovuto utilizzare sistematicamente i tappi per le orecchie, senza i quali non riuscirei a lavorare ».

C’è solo il rumore?
«No. C’è anche il problema dei fumi di scarico. Il Parco del Ticino ha fatto uno studio dal quale emerge un danno fogliare alle foglie più alte delle piante, cosa che è riscontrabile anche da chi ha l’orto e poi ci sono i casi “eccezionali”.
Almeno una volta al mese, poi, succede che ci sia un aereo in difficoltà che deve scaricare il carburate dove capita, il caso più eclatante è stato quello di qualche anno fa quando un jumbo coreano ha dovuto scaricare nel Lago Maggiore».


L'articolo è stato pubblicato su La Nuova Ecologia

 

© Sergio Ferraris
Spacer
torna su ::