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Metano per auto. Perché non cresce

Acque calme dopo l’affare Volkswagen. Si direbbe che passato il frastuono mediatico si sia tornati alla calma. Di quelle piatte, sotto le quali si muove un mondo.

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Acque calme dopo l’affare Volkswagen. Si direbbe che passato il frastuono mediatico si sia tornati alla calma. Di quelle piatte, sotto le quali si muove un mondo. Dopotutto lo scossone sembra assorbito dal settore auto, la contaminazione, pare, sia stata fermata ed ecco che ora stanno scattando le future ipotesi “post diesel“, basate anche sulle problematiche ambientali. E ciò arriva, e a ragione, specialmente dal fronte ecologista, ma ci sono problemi evidenti d’obiettivi, che portano alla luce analisi che considero incomplete.

Non sono pochi, infatti, coloro che vedono nella crisi del diesel, portata ai riflettori della ribalta dallo scandalo Volkswagen, ma che covava sotto traccia da tempo, l’alba dell’autotrazione elettrica. «Il diesel è finito, da oggi è l’ora dell’auto elettrica», così si legge e si sente dire da parte di molti ambientalisti. E se da un lato ciò è giusto,la realtà è che l’annuncio rischia di produrre l’effetto contrario, sviluppando delle grandi aspettative che poi potrebbero essere deluse, specialmente sul medio e breve periodo. Se non ci sono dubbi sul fatto che sul lungo periodo il futuro della mobilità sia elettrico, sul medio e breve dovrebbero esserci, almeno, delle perplessità. Vediamo perché.

L’auto elettrica, oggi, ha diversi problemi. Il primo è produttivo e influisce sui costi finali. La bassa scala di produzione e il fatto che necessiti di linee apposite, visto che i pianali – ossia la parte comune dell’auto tra i diversi modelli che consente la condivisione della linea di montaggio- sono diversi per il vero elettrico – ragionamento a parte deve essere fatto per l’ibrido che con ogni probabilità sarà il “supporto ortopedico” per il claudicante diesel – sono problemi che assegneranno ancora per parecchio tempo all’elettrico il valore di una produzione di nicchia, con gli annessi problemi sul fronte dei costi.

Il secondo è relativo alla capacità d’accumulo delle batterie, della loro filiera produttiva e delle problematiche circa la durata delle stesse, con i conseguenti problemi di ricarica e costi. Se da un lato bisogna dire che i progressi tecnologici sono importanti, e non passa mese che non siano annunciati nuovi sviluppi sul fronte della ricerca, dall’altro lato bisogna essere consapevoli che dalla fase di ricerca a quella dell’industrializzazione, e della diffusione di massa, i tempi sono sempre ancora molto lunghi, specialmente in un periodo nel quale, ovunque nel mondo, langue la ricerca finanziata dagli stati, che ha per definizione orizzonti temporali più lunghi dei venture capital.

Il terzo, non indifferente, è quello delle infrastrutture elettriche, produzione e distribuzione che potrebbero non essere pronte, anzi non lo saranno di sicuro, alla conversione nemmeno del 10% del parco automobilistico italiano che è di circa 37 milioni d’autovetture. La concentrazione delle auto nei grandi centri urbani e sulle direttrici autostradali, porrà, inoltre, problemi circa il dimensionamento delle reti di trasporto che potranno essere adeguate, si, ma lo saranno in base alle richieste. Quindi sull’elettrico per quanto riguarda i “rifornimenti” si entrerà in un circolo vizioso già visto, altri settori industriali, nel quale l’offerta si collega, senza interventi dello stato, alla domanda, ed entrambe languono in attesa di non si sa che cosa. E senza voler andare troppo lontano e rimanendo nel settore della mobilità il caso del Gpl e del metano per autotrazione possiede esattamente questa dinamica.

Ed è proprio il gas il grande assente da questo scenario. Mentre nessuno nega il fatto che il gas naturale (metano) sarà per i prossimi 15-20 anni il protagonista della produzione elettrica, in attesa che le rinnovabili facciano la loro penetrazione in profondità nello scenario energetico italiano, processo già avviato e inarrestabile. Nessuno prende in considerazione, oggi, nonostante la sua valenza, la possibilità di utilizzo per un paio di cicli di vita delle autovetture, 15-20 anni, del gas naturale.

Eppure per il sistema Italia sarebbe una grande opportunità. Prima di tutto la rete esiste, è pronta e persino quella domestica, con tecnologie consolidate, è utilizzabile per rifornire le auto. Abbiamo, infatti, una rete del gas naturale tra le più sviluppate al mondo che è lunga 35mila chilometri. Ragione per cui non c’è nessun impedimento allo sviluppo della rete aumentando i punti di distribuzione. Oggi siamo a circa 1.000 dei quali nessuno in autostrada, mentre quelli benzina/diesel sono 14mila. Ma c’è di più. Il metano ha delle tecnologie disponibili che consentono il rifornimento anche in casa, con tempi lunghi, ossia si parcheggia la sera e la mattina ci si ritrova con il serbatoio, pardon, le bombole piene e pronte per percorrere almeno 300 chilometri, mentre i tempi per il rifornimento alle stazioni di servizio sono simili a quelli di benzina e diesel.

Ma non è finita qui. L’utilizzo del metano è possibile sia su auto nuove – che sono modelli a benzina modificati, molto simili a quelle odierni e che condividono quindi le linee di montaggio – sia su auto “vecchie”, euro zero comprese, cosa che renderebbe la transizione rapida consentendo anche notevoli risparmi alle famiglie. Sia sul fronte della spesa per “l’adeguamento” al nuovo carburante, sia sul costo per chilometro.

E che dire della questione ambientale? L’allungamento del ciclo di vita delle auto sarebbe un risparmio di risorse non da poco, mentre le emissioni calerebbero drasticamente visto che il gas naturale inquina il 75% in meno di diesel e benzina, ed emette zero polveri sottili, con un abbattimento delle stesse del 70% in ambito urbano – il 30% sono dovute all’attrito degli pneumatici e dei freni, per cui si avrebbero anche con l’elettrico. Per non parlare della possibilità di alimentare le auto con il biogas, cosa che metterebbe le auto all’interno del circuito virtuoso delle fonti rinnovabili a impatto “quasi zero”.

Sul fronte industriale, inoltre, sarebbe una manna. Pochi sanno, infatti, che l’Italia è leader nel mondo per gli impianti necessari al funzionamento delle autovetture a gas naturale, sia come prima fornitura alle case automobilistiche, sia per il retrofit alle auto esistenti. E Fiat, oggi Fca, potrebbe trasformare la propria miopia sul lungo periodo – Marchionne ha sempre ribadito di non voler investire sull’elettrico – poiché ha investito sul metano e ha considerevoli risorse industriali e tecnologiche sul questo fronte. Insomma sviluppare lo zoccolo duro del mercato interno del gas naturale per l’autotrazione sarebbe un vero atto di politica industriale, propedeutico allo sviluppo, alla tutela ambientale e all’export di questi sistemi che avranno di sicuro un notevole mercato. Cosa chiedere di più? E cosa manca quindi?

Semplice: la mano pubblica. Come indirizzo e come semplificazione normativa, si potrebbero mettere anche alcune centinaia d’euro d’incentivi, volendo aiutare le famiglie. Fissando, però, prima i prezzi, per non cadere nel fenomeno, già visto proprio con Gpl e metano, dell’aumento con la presenza di contributi all’installazione e con la diminuzione alla scomparsa degli stessi. Eppure a livello di Governo e di Enti Locali si tace. Il perché é presto spiegato. Il motivo sono le accise sul carburante che pensiamo di pagare per litro, ma alla fine si pagano a chilometro percorso. E per verificare la cosa personalmente basta fare una divisione secondo i consumi, reali e non quelli inventati, della nostra autovettura.

Vediamo. Il peso delle accise sui carburanti, – con riferimento a un prezzo pieno di 1,649 euro – infatti, è nel caso della benzina di circa, 0,728 euro, ai quali bisogna sommare l’Iva del 22% ossia 0,293 euro. Totale tasse 1,021 euro. E allora se con un litro di tasse, pardon, di carburante, facciamo 12 km ecco che a chilometro paghiamo 0,085 euro di tasse. Mica male.

E se usiamo il Gpl? Per questo carburante accise e Iva contano per circa il 45% del prezzo totale e il costo è di 0,499 euro per litro. Quindi 0,225 euro di tasse per litro. Ma vediamo al chilometro. Considerando una resa inferiore del 10%, rispetto a benzina e diesel, ecco che a chilometro paghiamo 0,022 euro. E sul versante metano la cosa è ancora migliore visto che la percorrenza con un kg di gas naturale è del 40% superiore a quella della benzina. Quindi il nostro calcolo va fatto per 17 chilometri e non per 12. Per ogni metro cubo di metano per autotrazione le accise sono molto, ma molto basse, ossia 0,003 euro, ai quali dobbiamo aggiungere però il 22% di Iva. Totale quindi 0,223 euro di tasse a chilogrammo che tradotto in gabelle al chilometro diventano in questo caso 0,013 euro.

Passare quindi da una tassazione di 0,085 euro a 0,013 euro per chilometro per lo Stato sarebbe una “sciagura”.

Questa è la vera spiegazione del perché di fronte allo tsunami del diesel, sul Gpl e metano il silenzio è tombale. E forse gli ambientalisti dovrebbero fare un po’ di calcoli, per iniziare a coniugare la difesa dell’ambiente con quella dell’economia reale, a fianco dei cittadini. Dopo tutto con Gpl e metano, al netto della tutela dell’ambiente, si risparmia, rispettivamente il 57% e il 66%rispetto alla benzina. Insomma declinare il linguaggio della tutela ambientale con quello della crisi.

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