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Coronavirus: informazione inadeguata

L’inadeguatezza dei media di fronte al Coronavirus si ripresenterà quando si affronterà il clima

Coronavirus
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La crisi del Coronavirus ha messo a dura prova il sistema informativo in tutto il Pianeta. Nel momento in cui l’opinione pubblica chiedeva con forza un’informazione efficace, utile e coerente per fare fronte alla pandemia, il sistema è andato in crisi fornendo poche risposte efficaci, specialmente in Italia, uno dei Paesi più colpiti, dove l’informazione, nella migliore delle ipotesi, è stata disorientante.

Il Governo non ha impostato subito la propria comunicazione in maniera coerente e, a cascata, le istituzioni locali e sanitarie. La secretazione del piano di emergenza ai primi di gennaio, per non creare “disordini sociali” e la dichiarazione del piano d’emergenza nazionale alla fine dello stesso mese, che è stata colpevolmente ignorata dagli enti locali fino all’esplosione della pandemia, sono solo due dei casi più evidenti.

L’informazione italiana non ha affrontato il problema facendo solo da cinghia di trasmissione della comunicazione generata dalle istituzioni, specialmente nella prima fase con un grado di scarsa consapevolezza sul proprio ruolo. Prova ne è il balletto delle cifre al quale abbiamo assistito nella prima fase della pandemia.

Dopo i lanci dei primi giorni sul numero di contagi e di vittime da coronavirus, i media italiani hanno invertito la rotta con escamotage da operetta. Nella fase acuta in prima pagina ai dati delle vittime, sono stati sostituiti quelli dei guariti e privilegiando le “buone notizie”, rendendoli inaffidabili ai più. Così, di fronte alla più grave crisi economica/ sanitaria/sociale dell’era moderna a livello planetario, i media italiani hanno tentato di smorzarne l’effetto.

Il confronto è impietoso. Il New York Times, ha realizzato un reportage sul Coronavirus a Bergamo, raccontando con efficacia il dramma della città lombarda e ha pubblicato il documentario di due videogiornalisti milanesi realizzato con un drone, che ritraeva i cittadini in quarantena affacciati alle finestre e ai balconi.

Non ci sono esempi di iniziative simili da editori italiani, anche se in alcuni giornali locali e in alcune inchieste sono stati fatti lavori di un certo pregio, ma solo testuali. La questione che si pone è quale tipo d’informazione sarà possibile avere in futuro di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici le cui crisi potrebbero essere più gravi del Coronavirus, solo sanitaria e non ambientale.

Con il lock down siamo dovuti rimanere a casa, sono state assicurate le forniture di acqua, energia, cibo, farmaci, comunicazione e mobilità d’emergenza, forniture che potrebbero andare in crisi nel caso di una situazione prolungata d’emergenza provocata da un evento estremo come un’ondata di calore.

Si tratta di fenomeni di fronte ai quali l’informazione, anche quella ambientale, non è preparata. La sua gestione nei momenti di crisi generalizzata del tessuto sociale, che sia dovuta a un virus o al clima, somiglia molto a quella utilizzata durante i conflitti e la nostra esperienza ci porta alla Seconda Guerra Mondiale, quando gli strumenti d’informazione e i governi non assomigliavano lontanamente a quelli di oggi.

Tradotto: non abbiamo risorse informative per far fronte a queste nuove emergenze, ma ne abbiamo bisogno.

Da QualEnergia numero 2 2020

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