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Le imprese diventano ecologiche

Centrali nucleari
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Investire nell’ ambiente. Questa sembra la parola d’ordine con la quale molte imprese guardano con attenzione alle attività sostenibili, focalizzandosi specialmente su settori come le rinnovabili, ma non solo, sostenuti in ciò da una serie di dati macroscopici che già da mesi confermano questa tendenza. In Germania e Spagna, per esempio, gli addetti nel settore delle rinnovabili sono arrivati rispettivamente a 220mila e 100mila, mentre nell’Ue a 25 il giro d’affari dell’eco-industria ha raggiunto nel 2004 i 227 miliardi di euro, ossia il 2.2% del Pil dell’area. Molte le disparità all’interno della Ue. Ben il 49% del fatturato delle eco-industrie si è concentrato in due sole nazioni, Germania e Francia, il 24% in Olanda, Gran Bretagna e Italia, mentre le nuove dieci nazioni appena entrate rappresentano solo il 5,74% del mercato. Ma cosa si intende esattamente per eco-industria? Secondo l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e l’Eurostat l’eco-industria si definisce come: « le attività che producono beni e servizi per misurare, prevenire, limitare, minimizzare e correggere i danni ambientali all’acqua, all’aria e al suolo come per esempio quelle relativi ai rifiuti, al rumore e gli eco-sistemi». Questa definizione include tutte le tecnologie, i prodotti e i servizi che riducono i  rischi ambientali e minimizzano l’inquinamento e l’utilizzo delle risorse.

Non solo rinnovabili
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, vista la ribalta mediatica che hanno le rinnovabili oggi, i maggiori settori in termine di giro d’affari in Europa sono quelli legatati alla gestione delle risorse idriche e al trattamento dei rifiuti solidi. Si tratta di due segmenti nei quali, secondo un rapporto dell’Ocse si riscontra anche il minor tasso d’innovazione con una conseguente arretratezza nello sviluppo dei settori,che sono considerati “maturi”.
In termini di impiego si stima che a livello diretto e indiretto siano coinvolti nel settore dell’eco-industria circa 3,4 milioni di persone a tempo pieno dei quali 2,3 milioni nelle attività di gestione dell’inquinamento mentre la bilancia import-export della Ue a 25 è decisamente positiva con 13 miliardi di euro in uscita contro gli 11,1 di importazioni, mentre la struttura industriale è decisamente variegata. Si va infatti dalle Pmi specializzate in un segmento di nicchia ai rami delle grandi compagnie multinazionali che si occupano settori importanti, sotto al profilo dei fatturati, come quelli dei rifiuti e dell’acqua, passando per imprese di media grandezza che “approfittano” della legislazione favorevole per occupare i settori emergenti, come nel caso delle rinnovabili. Fin qui la fotografia dell’eco-industria europea, ma quali sono i trend che guidano il settore? Secondo il rapporto della Ue sull’eco-industria la forte crescita che si è osservata nel settore è dovuta al fatto che mentre in molti mercati tradizionali e maturi si sta incrementano la domanda di commodity e servizi, come quelli legati all’acqua, ai rifiuti e all’energia, mentre i mercati emergenti sono guidati da investimenti spinti da nuove politiche e legislazioni a sfondo ambientale. Questi ultimi sono segmenti con forti potenziali di  crescita, come quello delle rinnovabili e delle costruzioni eco-compatibili, nei quali parte della spinta creata dalle legislazioni e dalle politiche si riflette anche sul settore della ricerca applicata, creando un una sorta di circuito virtuoso. E di ciò sono estremamente convinti anche in Europa. «Non bisogna necessariamente scegliere tra la crescita economica e la qualità ambientale, ma è possibile avere entrambe – ha dichiarato il Commissario europeo all’Ambiente Stavros Dimas, durante una recente audizione al Parlamento europeo – Il miglioramento dell’ambiente può e deve stimolare le crescita economica e della competitività., specialmente in un contesto mondiale come quello attuale, segnato da una forte pressione sulle risorse e dall’aumento dei prezzi dell’energia. Si tratta di fattori che permetteranno in futuro uno sviluppo di comparti come quelli dell’efficienza nelle risorse, la riduzione dei rifiuti, l’efficienza energetica e le rinnovabili».

Trend energici
E che il settore delle eco-energia abbiano dimostrato dei trend di crescita elevati lo dimostrano diversi dati. Primo tra tutti il nuovo rapporto Global Trends in Sustainable Energy Investment 2007 voluto dall’Unep. «Il settore delle rinnovabili è cresciuto del 43%, tra il 2006 e il 2007 nei Paesi Ocse e del nord del Mondo, – afferma il rapporto – toccando un giro d’affari di quasi 71 miliardi di dollari ed è stato trainato dall’eolico, dal fotovoltaico e dai biocombustibili». Il mix che ha portato questi risultati è costituito dalla maturità tecnologica, dalle politiche di incentivi e dall’affidabilità che gli investitori danno al settore. Prova di ciò risiede anche nella composizione di prodotti finanziari che molte banche stanno proponendo ai risparmiatori in fatto di sostenibilità. Alcuni certificati diversificano la loro composizione con oltre dieci aziende attive in diversi segmenti delle rinnovabili per diversificare il rischio, cosa che dovrebbe mettere al sicuro gli investimenti, mentre lo sviluppo di strumenti simili dovrebbe portare ulteriore liquidità al settore delle rinnovabili. In totale a fine 2006 si stimava che oltre 18 miliardi di dollari fossero gestiti attraverso circa 180 fondi di investimento dedicati alle rinnovabili, ma si tratta di cifre destinate a salire. Il trend di crescita dei fondi d’investimento pubblici e privati riservati alle rinnovabili è stato, infatti, rispettivamente del 43% e del 59% nel 2005 e non c’è ragione, visto lo scenario che rallenti.

Sergio Ferraris

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