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L’invasione degli ultra manifesti

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Servono sul serio in campagna elettorale i sei per tre utilizzati dalla politica? Come vengono realizzati e cosa ci si aspetta dal loro impiego? Un viaggio negli uffici comunicazione dei partiti che si sono combattuti durante le ultime elezioni a colpi di metri quadri.

Hanno invaso lo skyline di tutte le nostre città per mesi. Ci hanno osservato dall’alto. Si sono anche mossi per strada. Nessuno è riuscito a sfuggirgli. No. Non parliamo di un’invasione aliena, ma più semplicemente della presenza ossessiva e anche un poco inquietante, dei manifesti sei-per-tre..
Servono effettivamente queste affissioni? Rafforzano sul serio i partiti? E soprattutto fanno cambiare opinione agli indecisi? Difficile trovare risposte. Una delle rare ricerche condotte sull’argomento è stata fatta da Coesis Research per le elezioni europee del 2004.
Dall’indagine emerge che il 96% degli interpellati ha visto i mastodontici sei-per-tre elettorali e circa l’80% quelli di Silvio Berlusconi che stacca di molto, Gianfranco Fini 30% e Romano Prodi 28%. «I manifesti di Forza Italia – chiedeva la ricerca – fanno aumentare o diminuire la voglia di votare il partito?». Chi pensa che l’aumento sia certo è il 6%, mentre per l’aumento probabile propende il 15%. Schiaccianti i pessimisti che si dividono in due categorie: quelli per i quali è probabile che ci sia una diminuzione dei risultati a causa delle affissioni, 42%, e quelli che ne sono certi, il 15%.

Ricerca per metri quadri
«Secondo noi si tratta di dati ancora validi – afferma l’autore della ricerca del 2004, Alessandro Amadori, amministratore delegato di Coesis Research –  Il format dei sei-per-tre già nel 2004 aveva esaurito il suo corso vitale, figuriamoci ora. Sono passati i tempi del 2001». Ed effettivamente da più parti vengono messi rilievo i limiti della comunicazione elettorale outdoor. «I cartelloni sono prevedibili, ripetitivi, scontati, stereotipati, manieristici e barocchi. – rincara la dose Amadori –  Sembra che ci sia una sostanziale incapacità di comunicare qualcosa di nuovo agli elettori». Unica novità, secondo il ricercatore, è il i sei-per-tre di Romano Prodi “Serietà al governo” che è meno statico specialmente per ciò che riguarda la scelta dell’immagine.
L’impatto di un sei-per-tre si basa sul rapporto immagine-testo perché i due veicoli comunicativi vengono processati dal cervello in maniera diversa. L’iconografia utilizza una modalità di ricezione del messaggio chiamata dagli psicologi percorso periferico che è agganciato da segnali visivi, si risolve in pochi secondi e parla più all’emozione che alla razionalità. Il testo, invece, utilizza il percorso di ricezione centrale che riguarda l’attenzione e la razionalità attraverso un’analisi semantica che è, però, difficile da applicare a uno strumento di lettura veloce e disattenta come quello sei-per-tre. Per queste ragioni gli slogan devono essere semplici e di poche parole.
Poche le opinioni a riguardo dal mondo pubblicitario. Le grandi agenzie hanno le bocche cucite. Però nel mondo pubblicitario qualcuno che si esprime lo troviamo. «Della campagna di Berlusconi trovo efficace – afferma Emanuele Bruno, direttore del giornale Pubblicità Italia – lo slogan “La sinistra dice che tutto va male. Lasciamola perdere” che ribatte a due campagne infelici come quella dei Ds della famiglia Spera e della Margherita con gli inscatolati. Mentre “Serietà al governo” di Prodi è chiara, rappresenta una buona scelta di posizionamento e soprattutto si rivolge non solo all’elettorato di riferimento ma anche agli indecisi».
Ma come vengono decise le strategie? Nei partiti si scelgono le tattiche comunicative con sottili spin doctor e scienziati della comunicazione o il candidato si affida al suo fiuto politico? Vediamo.

Ambiente sullo sfondo
Molto tecnica la campagna di Alleanza Nazionale che è divisa in due fasi. La prima utilizza la faccia del leader sia per legare la sua immagine a quella del partito, sia colmare il disavanzo comunicativo che Gianfranco Fini ha rispetto ai leader dei grandi partiti. «Dal punto di vista tecnico la scelta delle parole chiave, onesta, serena, sicura, solidale, è stata effettuata tramite un sondaggio scientifico che ha analizzato quali parole sono gradite agli italiani, al di là degli schieramenti. – afferma Federico Mollicone, collaboratore dell’ufficio di comunicazione esterne di An  – Per questo le abbiamo utilizzate». Ad An però sottolineano che sia il cielo sia il prato che fanno sfondo al ritratto del segretario non sono casuali. Il primo è una risposta al blu di Forza Italia, mentre il paesaggio italiano sullo sfondo vuole rimarcare l’aspetto ambientale del partito, che regge da cinque anni il Ministero dell’ambiente. La seconda fase abbandona l’immagine di Fini per utilizzare una propaganda di genere con dei target di riferimento che An ha identificato, accoppiandoli alle quattro parola chiave.

Tutto in casa
Fanno tutto da soli a Forza Italia,anche se voci non confermate danno la presenza del guru pubblicitario Gavino Sanna dietro la comunicazione di Silvio Berlusconi, il quale comunque si riserva sempre l’ultima parola. Ad osservare i sei-per-tre però, si direbbe che Fi abbia perso la propria storica sintesi in fatto di affissioni. «È vero. – risponde il senatore Lucio Malan, responsabile dell’ufficio propaganda di Fi – In questa campagna elettorale ci siamo trovati di fronte all’esigenza di rendere conto e di rivendicare le promesse elettorali fatte nel 2001 e per questo motivo abbiamo utilizzato testi più lunghi. Però devo dire che alcuni manifesti, come quelli con i “No grazie” contengono messaggi sintetici e diretti». La scelta di utilizzare una sorta di “pubblicità elettorale comparativa” per Fi è voluta. «Si tratta di una scelta consapevole. I nostri elettori si aspettavano i miracoli e alcuni li abbiamo fatti, ma non tutto è andato bene e allora anziché sottolineare le difficoltà abbiamo puntato sul confronto diretto con l’avversario».

Tutti in scatola
Altra strategia quella della Margherita che ha messo in scatola, a puntate, gli italiani. «La campagna nasce da una sensazione di oppressione che c’è nel Paese. – afferma Alberto Losacco, dell’ufficio comunicazione della Margherita – Però non tutti i manifesti hanno una visione “negativa”. Una seconda fase propone soluzioni positive che sfociano alla fine nella liberazione dall’oppressione attraverso il voto». Anche in questa campagna a puntate, però, emerge chiara la difficoltà di esprimere concetti in maniera sintetica come nel caso di “Meno evasione fiscale per liberare le risorse di tutti”. «È vero. – continua Losacco – Quella di andare più in profondità, utilizzando testi più lunghi, è stata una scelta fatta per centrare meglio e più a fondo la comunicazione».

Campagne di concetto
Articolata per concetti, invece, la campagna dei Democratici di sinistra. «Per noi il sei-per-tre ha rappresenta la fase di preparazione della campagna elettorale più classica – afferma Stefano Sedazzari, coordinatore della campagna elettorale dei Ds – Non abbiamo utilizzato ritratti di politici perchè puntiamo sia sulle critiche al governo, sia sulle nostre proposte. E per questo abbiamo puntato su concetti testuali». In casa Ds puntano, finalmente, più sulla critica al governo che sulle leggi ad personam, smettendo di demonizzare l’avversario. La campagna di comunicazione insiste su due concetti. Il primo “Oggi domani” verte sul confronto tra il governo di destra e quello, forse, futuro di sinistra, mentre apre, affermano i Ds, all’avvenire lo slogan “Domani è un altro giorno”.

Problemi Verdi
Tutt’altra musica dai Verdi ai quali il sei-per-tre non sta per niente simpatico.  «La nostra scelta è stata quella di non fare i sei-per-tre tranne poche eccezioni. – afferma Giovanni Nani, coordinatore della campagna elettorale dei Verdi – Abbiamo privilegiato la comunicazione nelle stazione e attraverso la pubblicità dinamica sugli autobus perché facciamo da anni battaglie a sostegno del mezzo pubblico e quindi abbiamo deciso di agire di conseguenza scegliendo stazioni e autobus come veicoli della comunicazione». Unica eccezione, spiega Nani, quelle città dove le aziende dei trasporti non accettano pubblicità elettorale, come Roma. Fuori dalle righe anche la comunicazione utilizzata nella campagna. Una serie di fotografie identificano problemi come l’inquinamento urbano, la guerra, il lavoro e i diritti degli animali, mentre il testo è sempre lo stesso “Qui ci voglio i Verdi” e indica come soluzione il voto al partito.

Allora servono o no i sei-per-tre elettorali alla comunicazione politica? Spostano voti o si tratta solo di messaggi che vengono fatti perchè li fanno tutti? Alla fine i nostri quesiti rimangono irrisolti ma l’impressione che si tratti di un sistema di comunicazione con evidenti segni di cedimento è alta, anche perché incalzato dalla televisione che alla prossima tornata nel 2011 sarà sbarcata stabilmente nei nostri telefonini. E allora potremmo interrogarci sempre sul sei-per-tre ma ragionando in centimetri.

Sergio Ferraris

L’articolo è stato pubblicato su La Nuova Ecologia e si riferisce alla campagna elettorale nazionale del 2006

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