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Referendum: chi ha votato SI serve al paese

Ora dopo il referendum è l'ora del dialogo. Chi ha vinto deve tenere la porta aperta e chi ha perso deve usarla

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Referendum. Ora molti amici che hanno sostenuto il SI, e sono e li ritengo amici, si chiamano fuori. Dicono “cavoli vostri”. Non è questa la logica con la quale si crede in un Paese, in una Nazione. Sono stato giovane in un’altra epoca, gli anni ’70. Al potere c’erano DC e PSI, inossidabili, sempre li con maggioranze granitiche che variavano di pochi punti percentuali, con un PCI che era il simbolo dell’impotenza che con percentuali del 25% non riusciva a cambiare nulla, anzi i grandi cambiamenti di quegli anni (statuto dei lavoratori, divorzio, sistema sanitario nazionale, aborto e Legge Basaglia) non lo videro protagonista e ci portarono, noi giovani a identificarlo in un nemico, rovesciando il palco di Lama (ero tra quelli).

E con una disoccupazione come quella di oggi aggravata da un inflazione al 25%, non ho mai smesso di credere in un futuro migliore, per me e per questo paese. Erano gli anni del CAF Craxi, Andreotti e Forlani, e io decisi di occuparmi come fotogiornalista di ambiente, pace e sociale. Entrai in Democrazia Proletaria (immaginate una forza più minoritaria?) occupai due centri sociali a Roma e mentre Craxi iniziava lo smantellamento dei diritti (scala mobile), mai e poi mai mi è passato per la testa di chiamarmi fuori.

Sempre in minoranza, sempre dalla parte “sbagliata” ma sempre con la consapevolezza che si può fare, che i contributi di tutti servono. Ora agli amici del SI chiedo: vi interessa questo paese? Volete proseguire questo vostro impegno,oppure il vostro era un assalto, non riuscito a una fortezza, per “consolidare” un potere?

Io ritengo che la passione dei molti del SI sia un patrimonio utile. A voi la decisione se impegnarvi, fuori dagli schemi politici costituiti, dal basso, per il Paese, per la Nazione che è e rimane un paese grande e, scusate se è poco, la seconda nazione manifatturiera d’Europa e nona del mondo.

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